PUNTO DI INTERESSE 7 E | LAVORAZIONE DEL FERRO

PUNTO DI INTERESSE 7 E | LAVORAZIONE DEL FERRO

In epoca etrusca la spiaggia di Procchio, soprattutto la sua porzione nord orientale, corrispondente alle zone di Campo all'Aia e La Guardiola, ha rappresentato un importante sito di lavorazione del minerale di ferro. I luoghi di riduzione del minerale, vale a dire la sua trasformazione da materia prima in ferro e acciaio, erano normalmente situati lungo la costa. In genere nelle baie più a ridosso, dove potevano facilmente giungere le navi cariche di ematite proveniente dalla costa orientale elbana, nelle vicinanze di piccoli corsi d'acqua e prossimi ad ampie aree boschive, dalle quali proveniva l'abbondante carbone necessario alla lavorazione nelle fornaci.

Concreta testimonianza di questa antica attività industriale costiera sono le scorie di ferro e scarti della lavorazione dei blumi prodotti che si possono ancora raccogliere sui lidi isolani, in special modo proprio lungo la spiaggia di Procchio. Qui gran parte delle scorie furono raccolte nella prima metà del XX secolo per essere gettate negli altiforni per recuperare il ferro ancora presente al loro interno. Si tratta di frammenti scuri che ci possono ricordare frammenti di lava vulcanica, ma molto più pesanti per il contenuto di ferro, ancora presente al loro interno, prezioso elemento sfuggito agli antichi metallurghi che operavano con metodologie antiche e ancora rudimentali rispetto alle moderne tecniche siderurgiche. Gli Elbani di una volta chiamavano schiumoli questi pesanti frammenti di scoria antica, presente in molte località isolane: il nome era dovuto alla loro struttura caratterizzata da tanti piccole cavità e bolle.

Nelle ricostruzione del ricercatore Gino Brambilla i forni degli Etruschi sarebbero stati alti 1,50-1,80 metri. La loro struttura di macigno era rivestita internamente di argilla. C'era una camera di combustione cilindrica e un camino troncoconico per i fumi che serviva anche per il caricamento del carbone e del minerale. Esistevano due fori, uno posteriore per l'insufflazione dell'aria spinta da mantici e uno anteriore, sulla porticina murata, per la fuoriuscita delle scorie. Nella fornace già accesa con fascine e carbone di legna, venivano versati in maniera alternata minerale spezzettato e altro carbone, fino a riempire la camera interna, insufflando contemporaneamente area dal retro.

Dopo due tre ore di lavorazione e continua insufflazione, la scoria, ricca di impurità ma contenente anche una certa quantità di ferro, fuoriusciva dall'apposito foro anteriore. Dopo circa 10 ore di procedimento, al raggiungimento del colore giallo bianco (circa 1200°C), un nucleo di di spugna di ferro dolce si era formata all'interno della fornace, massa ferrifera che sarebbe poi stata estratta infrangendo la porta del forno. Il blumo così ottenuto era un prodotto ancora grezzo da lavorare ulteriormente sulla forgia dei fabbri.

Gallery