
Il Faro di Punta Polveraia
Il faro di Punta Polveraia è situato sulle rocce dell'omonima scogliera ad un'altezza di 52 metri sul mare, poco lontano dall'abitato di Patresi.
Si tratta di una costruzione semplice appoggiata sulla roccia viva, un caseggiato dei primi del Novecento dall'architettura essenziale, sul quale s'innalza una torretta ottagonale sormontata dalla lanterna munita di un'ottica fissa di 500 mm di focale, che emette un gruppo di tre lampi bianchi ogni 15 secondi, con una portata nominale di sedici miglia. Il faro, che è anche individuato con il numero 2060, è occultato a sud di 36°. La struttura è gestita dal Servizio Fari della Marina Italiana.
Dalla creazione del segnalamento luminoso nel caseggiato si sono insediati i guardiani del faro con i loro familiari: i fanalisti al servizio della Marina erano incaricati della manutenzione della struttura e dell'accensione della lanterna. In un primo tempo l'emissione luminosa funzionava ad acetilene a cui sono succeduti poi i vapori di petrolio, il metano e infine l'energia elettrica. Con l'arrivo dell'elettricità i fanalisti in servizio a Punta Polveraia passarono da tre a due. Con il pensionamento del padre Aristodemo, nei primi anni settanta Muzio Berti rimase fino al 2001 l'ultimo "comandante" della struttura, che, spazzata dai venti di libeccio, ponente e maestrale, scruta e illumina il mare tra l'Elba e la Corsica. Battaglini, Retali, Bolano, Quintavalle e Brignetti sono i nomi di alcuni degli altri fanalisti che hanno lavorato qui: in passato in questo edificio ha vissuto con il padre Angelo, allora custode del segnalamento, anche il giovanissimo scrittore elbano Raffaello Brignetti, che nel 1927 in una vicina scuola rurale frequentò la prima elementare.
A Polveraia inizia l'estremo versante del ponente isolano, che culmina poi più a Sud con Punta Nera, il lembo più occidentale dell'isola. I dintorni dell'edificio presentano le forme, gli aromi e i colori della flora mediterranea, con pini d'Aleppo, ginepri fenici, rosmarini, cisti e lentischi. Si tratta di piante che amano i terreni serpentinosi che costituiscono il promontorio.
(Antonello Marchese)
Le Ofioliti
In questo tratto della via delle essenze le rocce che costituiscono il terreno su cui si muovono i nostri piedi sono rappresentate dai serpentini, detti anche ofioliti, una delle varietà litologiche che formano il vario mosaico della geologia isolana. Il termine ofiolite deriva dal greco ofios, significando appunto serpente, a causa della colorazione verde tipica della pietra che ricorda la pelle di questi rettili. Dal punto di vista geologico le ofioliti rappresentano un tipo di roccia di estrema importanza per comprendere una porzione del nostro pianeta: la crosta oceanica e la parte di mantello terrestre sottostante.
Quando incontriamo queste rocce in superficie dobbiamo pensare che si tratta di materiale originatosi in ambiente marino e crostale estremamente profondo (decine, se non centinaia, di km dalla superficie) che per cause tettoniche è risalito fino a noi, tant'è che la presenza di ofioliti è sinonimo di un oceano che milioni di anni fa si è consumato tramite la subduzione. Lo studio di queste rocce ha portato a comprendere le dinamiche della tettonica delle placche. Col termine di sequenza ofiolitica si indica la serie di rocce che si sono formate in questi antichissimi oceani, partendo dalla base costituita dalla porzione inferiore della crosta oceanica (mantello) a salire verso l'alto.
Nella sequenza incontriamo le peridotiti e serpentini di provenienza mantellica, i gabbri (rocce intrusive) i basalti o pillow lava creatisi con la fuoriuscita di magma nelle dorsali oceaniche e raffreddatisi rapidamente a contatto con la gelida acqua del fondale e le rocce sedimentarie argillitiche e silicee (diaspri, argille a palombini, calcari a calpionelle). I colori dei serpentini che si originano dall'alterazione di rocce ricche di magnesio e ferro vanno dal verde chiaro alle tonalità più scure e terrose, presentando strutture fibrose, massive e cristalline. Gli eventi deformativi che hanno agito sulle rocce ofiolitiche all'Elba sono avvenuti fondamentalmente durante la formazione dell'oceano della Tetide Occidentale (Giurassico) e hanno contribuito a formare le strutture metamorfiche visibili ai giorni nostri nella zona della Punta di Fetovaia, a Colle d'Orano, a ridosso di Punta Le Tombe, lungo la costa del Golfo Stella e nella zona del Monte Strega.
(Antonello Marchese)